venerdì 1 agosto 2008

Io non ti conosco, Eluana, ma ho visto in fotografia il sorriso nei tuoi occhi e credo che avresti meritato la felicità che da sedici anni ti viene negata. Che viene negata alla tua famiglia, a tuo padre messo sotto accusa da media e giudici saccenti, da un'ipocrisia disumana travestita da carità cristiana.

Quasi un padre provasse piacere chiedendo di dare la pace alla persona che probabilmente ama di più al mondo. Come se lo chiedesse per se stesso piuttosto che per te; per egoismo e non per amore infinito; per non sacrificarsi più... quando invece chiede disperatamente di poter compiere il più estremo dei sacrifici.

In questa società così superficialmente aggrappata allo strenuo tentativo di dimostrare il contrario, io non conto nulla e lo so.
Però sono con voi e volevo in qualche modo comunicare che, se dovesse capitarmi quel che è successo a te, Eluana, vorrei che la mia famiglia compisse la scelta d'amore di lasciarmi finalmente riposare.

La vera crudeltà, in questa faccenda, è che si debba essere costretti a morire per fame.
Che si debba continuare a essere puniti, quasi la sorte non avesse già fatto abbastanza.
Come siamo diventati cattivi! Eppure a un gatto o a un cane sofferenti si concede una fine più dolce, quando proprio si è costretti a una scelta estrema si pensa al loro bene. Ed è squallido che questo dipenda dal fatto che a qualcuno, qualcuno di quelli che fanno le leggi, in realtà importi meno di loro che degli esseri umani.
È un controsenso, una menzogna travestita da buonismo timoroso di precipitare all'inferno.
Temo che stiamo davvero impazzendo.

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