giovedì 22 dicembre 2011

E3




E' arrivato E3, l'ultima profezia della coppia Torre/Marani, cover Omar Falcini, Romano Editore

venerdì 10 dicembre 2010

LA CLASSICA TAZZA DI ZUCCHERO...? MAI PIÙ!



E' ormai parte dell'immaginario collettivo: si finisce lo zucchero e, come nei film, ci si rivolge al vicino di casa.
"Scusami, sono il tuo vicino, mi presteresti una tazza di zucchero?" e... ZAC! Ecco che l'inimmaginabile accade. La cronaca nera campa sui vicini da morire. Quelli che vivono porta a porta e quelli che sono legati da rapporti di parentela, d'intimità, perché vicine sono spesso le persone che, insospettabilmente, uccidono. Quelle ce crediamo soltanto di conoscere.
In questa raccolta noir di casa Romano, un racconto scritto a quattro mani dall'ormai collaudata coppia Anna Marani/Elena Torre, che ancora una volta si svolge sul mare... ma su quello che lambisce le magnifiche scogliere della Croazia.

sabato 24 aprile 2010

CHI E' L'EROE?


L'EROE
Anna Marani/Elena Torre
Romano Editore

Dopo il successo di Erode e la psicopatia dell'allenamento (Marani/Torre, Romano Ed.), il commissario Biagini e il maresciallo Puccinelli, affiancati dagli immancabii colleghi Cortopassi e Cortese, tornano con una nuova avventura nel romanzo L'Eroe (2010, Romano Ed.).
Una donna viene ferocemente assassinata nel giardino di casa sua. Il suo lavoro e una passata relazione affettiva la collegano alla vittima di un altro efferato omicidio, quello del maestro di arti marziali Tenshi Nakagawa. E' solo l'inizio di una serie di uccisioni che tornano a spruzzare sangue sulla città di Viareggio, tra le Apuane e il mare, tra la realtà e le angosciose visioni soprannaturali che tormentano l'appuntato Cortese.
Frattanto il figlio maggiore del maresciallo Puccinelli resta coinvolto in un grave incidente stradale, la gita scolastica si tramuta in tragedia. E' solo una drammatica coincidenza?
La pista seguita da Polizia e Carabinieri si interrompe bruscamente quando il principale indiziato viene ritrovato cadavere. Le indagini tornano punto e a capo...
L'estate prossima, un nuovo capitolo dell'ormai cosiddetta 'saga di Biagini & Puccinelli'.

mercoledì 25 novembre 2009

IL DADO DI NIA (racconto on-line, gratuitissimo)

A tutti gli amici che hanno amato Malìa d'Eurasia, Erode e la psicopatia dell'allenamento e forse altri scritti sparsi per riviste e antologie, ma soprattutto a chi ancora non mi conosce e magari vuole "testarmi" prima di comprarsi i miei libri.

IL DADO DI NIA

...“perdonali,
perché non sanno
quello che fanno”.
(Lc 23, 34)


DAVIDE, oggi
È andata via.
Mi aspettavo una sua visita, chiamatelo sesto senso, fatto sta che per tutta la giornata sono stato in ansia. Come quando mi trovo sul palco e, finito il pezzo, poso il sassofono e attendo la sentenza del pubblico. Che sia un applauso o un’esplosione di fischi, finita l’esibizione la tensione si allenta. Di solito.
Ma lei se n’è andata, e l’ansia è rimasta.
Questo, nonostante mi sembri che tra noi si sia instaurata una specie di legame empatico. Se potessi concedermi il lusso di una costante, sarebbe Nia, visto quanto la penso. Qualsiasi cosa faccia e ovunque mi trovi, non riesco a distogliere da lei quella parte di me che già le appartiene.
Se qualcuno mi dicesse che non ha tutte le rotelle a posto, non ne la sentirei di dargli torto, infatti di solito evito come la peste le donne come lei; quelle, per intenderci, che non hanno niente in comune con mia moglie. Nia non è dolce né garbata, e non ce la vedo a fare le cose che fanno le donne, come mettere dei fiori in un vaso o frequentare un corso di aerobica. Il suo corpo non si può dire femminile, casomai piuttosto androgino, tonico e flessuoso come quello di un grosso gatto. Mi fa sentire come un topolino tra le sue zampe.
Ma mi ha scelto, e l’unica cosa di cui possa dire di essere certo in mezzo alla confusione che mi ottunde, è il desiderio che ho di lei.

NIA, oggi, poco prima di Davide
Un ciondolo fatto con un dado vero pende dal laccio di cuoio che porto al collo. Da quando
ce l’ho, è diventato una specie di talismano per quando mi trovo in balìa del caso.
L’ho comprato in uno dei pochi negozi dove si trovano ancora le venticinque millimetri. Non si tratta di munizioni né di articoli per cinefili, ma di miniature in metallo, soldatini che ormai collezionano in pochi. Ci vuol troppa pazienza a dipingere quelle casacche e quei visi minuscoli, stravolti da seppur piccole guerre. Nessuna persona normale vorrebbe mai una guerra, nemmeno piccola, è già abbastanza seccante alzarsi la mattina e fare un lavoro del cazzo, interinale o sottopagato che sia.
I colori acrilici per soldatini sono il mio piccolo segreto, danno alle tele quel qualcosa in più che mi ha valso il privilegio di vivere della mia arte.
Già che sono in zona, prendo un pasto da asporto al take away greco. La gente manda giù quando apro il cartoccio, pranzo alla fermata dell’autobus perché in centro giardinetti e panchine sono praticamente scomparsi.
Non ci vengo volentieri, ma vedere un po’ di movimento, immagazzinare i colori e gli odori serve a distrarre la solitudine, anche se poi mi viene il voltastomaco. E’ come se potessi appropriarmi di esistenze altrui per saturare la mia. Poi vomito la nausea sulla tela. Qualcuno la chiama ispirazione.
Sembra ch’io sia l’artista più tormentata del momento, sapete? Il tormento è molto quotato, credo perché oggi tutti sono troppo presi a coltivare piccoli sogni a portata di mano e conquistare cose di cui disfarsi presto. Non ho alcuna stima dei miei simili.
Oltre che misantropa, sto diventando abitudinaria. Un’occhiata ai libri a metà prezzo, poi percorro tutto il portico domandandomi la ragione del degrado delle pitture che un tempo ne ornavano le volte. Mai restaurate, mai affidate all’Accademia di Belle Arti per svecchiarle e dare un taglio al passato. Questa città sembra una vecchia soffitta. Conserva, dimentica e alla fine è tutto da buttare.
Il traffico di taxi e di autobus è fastidioso e mi stordisce, sento che mi manca il fiato. Guardo il cielo per assicurarmi che sia ancora dove l’ho lasciato e cerco di tornare a respirare.
Mi fermo qualche minuto ad ascoltare un musicista randagio che ormai appartiene al centro storico quanto le torri e la fontana.
Lo stereo di un’auto mi spara nelle orecchie “Salirò, salirò, fino a quando sarò solamente un puntino lontano”... Ho una specie di visione mistica di un omino che vien giù dalla cima della torre medievale del municipio, proprio come un filo a piombo, ed è quasi uno spettacolo tragicomico.
La gente cammina frettolosa, qualcuno mi urta, si scusa anche se non gliene frega niente, continua la sua vita.
Ignoro vetrine ridondanti e zingari accampati sui gradini della cattedrale, ho caldo e mi tolgo il giubbotto, lo lego in cintura. Devo spicciarmi, perché oggi ho diverse cose da fare. Soprattutto, devo comprarmi un disco.

DAVIDE, oggi, su di sé
Se la Storia ha smesso di regalarci grandi eroi, per fortuna non ci ha mai fatto mancare grandi musicisti. Senza la musica sarebbe tutt’un’altra cosa, scorre nelle vene sotto la pelle.
Un tempo incitava i guerrieri alla battaglia, nel sessantotto si fece voce della sinistra, ma i tempi di Woodstock sono passati, e oggi è rimasta sola e per lo più fine a se stessa. Oggi in politica si usano chiacchiere & tritolo, nessuno pensa più di cambiare il mondo con la musica.
Nel mio negozio, però, le conversazioni sulla musica e sulla politica vanno spesso a braccetto. E, dal momento che suono anch’io, tutti mi considerano un amico e non gl’importa se il voto è segreto. D’altronde, se devi vendere a un musicista uno strumento che suoni le sue note della sua anima, allora devi conoscere lui.
Il mio negozio si chiama Fur Elise. Invece la band l’abbiamo battezzata Parker’s, dal jazzista Charlie Parker. Anche noi facciamo jazz, ma non siamo così famosi. Conservo tutti i ritagli dei giornali che parlano di noi.
Nia è troppo sinistra per il jazz. So che le piace un genere metal che personalmente trovo inascoltabile. Al contrario, ogni sua parola mi rimane impressa, come una nota sullo spartito.
Visto come precipitò la situazione, il giorno che avrei dovuto riconoscerla sarebbe stato meglio se non ci avessi avuto a che fare.
Fu lei a ricordarmi che avevamo frequentato la stessa sezione alle medie, e che io ero un anno avanti. Da come parla della se stessa di allora, o meglio da come non ne parla, si capisce che era la classica ragazza invisibile, che non prende mai la parola e se ne per i fatti suoi. Goffa, presa di mira dall’incoscienza cattiva degli altri studenti. Ce n’è una in ogni classe, di ragazze così. Solo che alcune, poi, smettono di stare al gioco come Nia, che fa da sé le sue regole e porta un dado al collo.
Insomma, finì che mi diede praticamente del maniaco sulla pubblica piazza.

NIA, oggi, su di sé
Io e il mio dado ci addentriamo di buon passo nella zona universitaria, quella porzione della città che è la spina nel fianco dell’amministrazione comunale.
Davanti a me cammina veloce una fighetta griffata che non si ferma davanti a nessuna vetrina. Finge di non vedere per niente la tribù di tizi stracciati e stravaccati, qualche metro più avanti, insieme a un branco di cani bastardi rincoglioniti dal fumo passivo delle canne.
I suoi tacchi ticchettano sul lastricato più veloci della lancetta dei secondi: deve proteggere le sue preziose chiappe targate D&G dal sudiciume che la circonda. Stringe sottobraccio una borsa costosa, evita i tizi portandosi sul lato opposto della strada, e come li ha superati riattraversa, scampa alla nube all’aroma di cannabis. Fossi in lei mi farei un tiro e mi darei una bella rilassata, dà talmente nell’occhio che vien voglia di scipparla.
Me lo faccio lo stesso, i freack sanno essere generosi con quelli come loro.
Ho bisogno di calmarmi, di mantenere distesi sulla faccia i lineamenti della mia maschera.

DAVIDE, oggi, su Nia
Gestisco questo negozio e sono consigliere comunale, il mio è un partito di maggioranza. Me la passo bene. Sono cosciente e grato della mia condizione privilegiata. In tasca ho sempre avuto soldi che mi hanno aperto la strada, e quasi per discendenza ricopro il ruolo appartenuto a mio padre nell’amministrazione comunale. Mi interesso davvero delle questioni della mia città, faccio del mio meglio. Ho viaggiato abbastanza da sapere che non ci si sta peggio che altrove.
Insomma, nel mio piccolo sono un personaggio. Non me la tiro per questo, ma non sono nemmeno modesto. Diciamo che sono moderatamente soddisfatto di me stesso, ma sbaglierei a ritenermi completamente felice, nessuno lo è. Mi manca qualcosa, una tessera che completi un puzzle andato in pezzi e ricostruito con pazienza. Mi sento incompleto.
Nia non è la tessera mancante, ma solo un soffio di vento che disperderà tutte le altre, e ha già cominciato a spirare.
Il Consiglio s’era riunito per approvare un progetto che aveva sollevato proteste e l’intervento dei comitati ambientalisti.
Si trattava di apportate le necessarie modifiche al piano regolatore e di abbattere qualche albero per realizzare un parcheggio in un’area verde della periferia. Appena approvato il disegno, la stampa locale diffuse la notizia, e davanti al municipio si formò presto una folla incattivita e armata di striscioni contro la cementificazione. Lo sapeva il Sindaco, e credo lo sapessimo tutti, che facevano sul serio e noi, Primo Cittadino, Assessori e Consiglieri, ci eravamo barricati nella sala riunioni, e siccome nessuno mostrava l’intenzione di uscire col rischio di prenderle, ordinammo delle pizze e aspettammo che, là fuori, si stancassero. Ovvio, non accadde.

NIA, oggi, sul passato remoto
Fa molto caldo ed è l’ora delle mie pastiglie. Entro in un baretto e ordino un decaffeinato e un bicchiere d’acqua. Butto giù la compressa e aspetto che mi dia la carica sorseggiando il caffè. Brutto affare, la depressione, se poi si abbina a un carattere aggressivo sfocia nell’autolesionismo.
Qua dentro è pieno di studenti e di insegnanti, facce note per ragioni di studio e di lavoro o del comitato ambientalista del mio quartiere, che si batte per arrestare il progresso o il regresso. Invece lui pensa di salvaguardare la qualità della vita seminando automobili. Non ha mai capito niente.
Da ragazzini frequentavamo la stessa scuola media in periferia, poi lui si trasferì in un altro istituto in città.
La mia era una famiglia indigente, per comprarmi gli occhiali a fondo di bottiglia dovevo rinunciare ad altre cose e vestire i panni smessi dalle mie cugine. Avevo sempre addosso roba vecchia ed ero grassa perché i poveri non mangiano cibi sani.
Non mi sarebbe importato, se non mi avessero presa in giro. Da sempre, la miseria si paga salata e non concede sconti. Impiegai pochissimo a mettermi dei complessi di inferiorità che compromisero qualsiasi rapporto interpersonale. Tutt’ora mi trascino dietro certe turbe comportamentali di cui anche lui farà le spese.
Non meritava niente di meno.
Soltanto Regina, la mia migliore amica, mi capirebbe.

DAVIDE, oggi, sul passato
Nia era là, in prima linea, con quell’aria feroce. Lei è così, sempre addosso a tutto e tutti. Brandiva un cartello con una grande scritta nera: “VERGOGNA!”. Mi domandai di cosa dovessimo vergognarci.
Quando ci sono di mezzo gli appalti, capita che ci sia sotto qualche interesse, ma alla fine sta ai cittadini valutare chi debba rappresentarli.
Non so se fossimo le persone giuste, ma stavamo facendo il nostro lavoro.
In effetti ebbi la sensazione che la sua faccia non mi fosse nuova, eppure non mi veniva in mente dove potessi averla già incontrata. Era bella.
D’abitudine non frequento persone come lei, né posso dire di aver cominciato a farlo da quando Nia è entrata di prepotenza della mia vita.
Non si pensi che, quando dico “persone come lei”, mi riferisca a uno stato sociale per così dire inferiore. Non sono uno snob ma, perbacco, dovrei sentirmi in colpa per esser nato con la camicia?
Quello che intendo dire è che se mi riferissero che Nia è una terrorista, potrei anche crederci. Chiunque ci crederebbe, solo guardandola negli occhi. Ma nessuno guarda mai veramente il sole, per non restarne abbagliato o cieco.

NIA, oggi, sul passato e la violenza

Tremilaseicento ore di prese per il culo, già detratte le vacanze estive e quelle di Natale e Pasqua, segnano. E insegnano, ho elaborato un paio di teorie sul tema.
La prima: la superficialità può sviarti su binari che ti condurranno inevitabilmente allo schianto contro una società da cui sarai sempre indotto a difenderti.
La seconda: il complesso di inferiorità, abbinato all’istinto di sopravvivenza, può generare un’evoluzione o un’involuzione della crisi, e in entrambi i casi quel che si prospetta non è buono.
Potrei anche dirvi che il rapporto tra le persone si basa sull’affinità delle energie, degli odori e delle necessità, così vi smonto anche la teoria dei poli opposti che si attraggono. Sono i simili a cercarsi, e qualsiasi rapporto tra opposti può rivelarsi un eccitante connubio chimico all’inizio, ma finisce sempre in un disastro.
Così io e Regina trovammo rifugio l’una nell’altra.
Lei era economicamente più disagiata di me, la sua paghetta settimanale rasentava il ridicolo e non tardò a essere ribattezzata ‘Regina dei bassifondi’ dai compagni di classe. Io, Antonia, ero stata ribattezzata per assonanza in un modo che non ripeto ma che secondo loro faceva rima. Sono certa che abbiate abbastanza fantasia da arrivarci da soli, non ci sono molti dispregiativi che si concludano in 'ia' che si possano riferire a una ragazza.
Pensare che allora avevo avuto il mio primo rapporto completo solo con uno stuffilotto in fibra di cotone, e pur trattandosi solo di un assorbente interno avevo incontrato qualche difficoltà.
Eravamo intimidite più che timide, inadeguate, facile preda di qualsiasi tipo di angheria...
Un giorno i nostri cappotti finivano nella tazza del cesso, un altro i nostri quaderni dei compiti venivano bruciati nei gabinetti, con conseguenze disastrose sulla media. E noi zitte, incapaci di immaginare come avremmo potuto difenderci.
Durante il secondo anno, l’Amodio ci invitò a casa sua per una festa.
Sospettai da subito che intendesse giocarci un brutto tiro: l’Amodio era una delle ragazze più popolari della scuola, e noi due non avevamo mai avuto accesso al suo regno.
Per dirla tutta, io non avevo nessuna voglia di andarci, tra l'altro avevo appena finito di leggere Carrie di Stephen King, per cui presagivo il peggio, anche se per stabilirne l'entità la mia fantasia non sarebbe mai bastata.
Regina si sentiva finalmente accettata, aveva cominciato a fare le prove dei vestiti una settimana prima dell’evento, investendo tutti i suo soldi in capi carini comprati insieme, io e lei, al mercato.
La sera fatidica era in tiro anche per un altro motivo: si era presa una cotta madornale per uno di terza, uno troppo giusto, per intenderci. Allora si diceva così.
Comunque era quello che alle feste della scuola si portava la chitarra anche se non c’era lezione di musica, e si metteva a suonare e a cantare Questo Piccolo Grande Amore e altre nenie che tuttora mi sono insopportabili.
Lui si chiamava Davide, da grande voleva fare il musicista e da Regina non ne voleva mezza, almeno così dicevano tutti, visto che io non mi azzardavo a spiccicare parola con nessuno, figurarsi con un maschio.
Ma quel pomeriggio Regina si era messa in ghingheri per lui, e avevamo avuto il permesso di restare fuori casa fino alle dieci e di tornare con l’autobus, il che significava che ormai eravamo grandi.
Data la scarsità delle nostre comuni finanze, avevamo acquistato un pensierino modesto che fu del tutto ignorato dalla nostra ospite.
Che imbarazzo, quella fu la prima volta che augurai a una persona tutto il male del mondo. Poca cosa, visto quello che sarebbe accaduto.
Se un genitore battezza Regina una neonata, come minimo dovrebbe aspettarsi che, per ironia della sorte, per un perverso disegno del destino, sarà sfigata per la vita. Difatti Davide diede buca. Ma ancora poco male, questo l’avrebbe superato.
Quella sera la violentarono in tre, forse quattro, le luci erano spente, e lei troppo umiliata e atterrita per contare.
Non seppi mai se davvero non li avesse riconosciuti, o se per paura non volle mai far nomi, ma questa storia era destinata a segnare entrambe per la vita.
Ho sempre pensato che fosse stato tutto organizzato prima ancora che l'Amodio ci invitasse e che lei fosse complice di quel complotto. Difatti aveva chiesto a Regina di portare in camera sua il nostro sgradito presente.
Dopo diverso tempo andai a cercarla, perché ci stava davvero mettendo troppo, e a parte il fatto che cominciavo a preoccuparmi, non mi andava di star sola tra tutte quelle facce sorridenti che volutamente mi ignoravano.
Credevo di trovarla a piangere lacrime di delusione, perché quella festa s’era rivelata un fiasco su tutta la linea. La trovai, infatti, che piangeva sul letto dell’Amodio, in mezzo a un’orda di peluche. Tremava come una foglia, e aveva dei brutti lividi sul corpo. C’era sangue tra le sue gambe e sulle lenzuola, e odore di urina. Ma quello che davvero non dimenticherò mai, quello che mi tormenta ogni notte, è il suo sguardo, perché aveva gli occhi vacui di un morto.
Non mi sono mai perdonata d’essere arrivata tardi, né di non aver saputo come aiutarla in seguito. Credo che nemmeno lei mi abbia mai perdonato, ed è anche per mettere in pace la mia coscienza che adesso voglio estinguere il mio debito.
Regina si chiuse in un mutismo interrotto da monosillabi se le chiedevo qualcosa, ma mi pregò di non dire nulla, mai, per nessuna ragione. Pensava che i suoi avrebbero sofferto troppo se avessero saputo, e che forse non avrebbero capito.
Almeno quello, per lei, potevo farlo. E lo feci, purtroppo.
Tornammo a scuola l’indomani come se nulla fosse accaduto, e tutti fecero finta di niente. Poi lei cominciò a presentarsi alle lezioni con sempre minore frequenza, infine prese a farsi negare per telefono anche a me, finché non ci vedemmo più. Cambiò scuola, cambiò vita. Ma qualche anno più tardi lessi sulla cronaca nera che una giovane sposa s’era suicidata gettandosi nel fiume che attraversa la città, la prima notte di nozze. Regina.

DAVIDE, sul passato e su Nia
Ci decidemmo a chiamare i Carabinieri, e sperando che non tardassero ad arrivare mi rassegnai a uscire per cercare di calmare le acque e per apparire disponibile. Una questione d’immagine.
La folla mi si chiuse intorno, c’era chi chiedeva spiegazioni e chi m’invitava a impiccarmi. E c’era lei. Con i suoi capelli neri da Morticia Addams e gli occhi fiammeggianti di un rancore di cui non potevo essere il solo responsabile.
La situazione non era delle migliori, e devo ammettere che, nonostante le miei doti oratorie affinate sul palco, ebbi il mio bel daffare a giustificare le scelte della Giunta. Alla fine arrivai a promettere che l’approvazione del progetto sarebbe stata rimessa in discussione, e che questa volta i rappresentanti dei comitati di quartiere e di quelli ambientalisti avrebbero avuto l’opportunità di partecipare a una riunione per riesaminare la faccenda insieme a noi. Era fattibile, e in effetti mi parve l’unica soluzione. L’effetto placebo fu immediato, la folla si disperse e non restarono che sparuti gruppi di estremisti. E lei, a darmi del bugiardo.
Le misi una mano sulla spalla, cercando di stabilire un contatto, un espediente che di solito funziona. Ma non avevo chiaro chi mi trovassi davanti.
“Non toccarmi, schifoso!” mi urlò in faccia, affondandomi le unghie nella mano per strapparsela di dosso.
Devo dire che mi lasciò nelle pesche, ebbi un bel da spiegare che non le avevo fatto niente di male, anche perché nel frattempo erano arrivati i Carabinieri.

NIA, oggi, su di sé

Iniziò per me un processo di mutazione senza precedenti e mi feci più stronza. Giurai a me stessa che non mi sarebbe mai capitato quel che era successo a Regina: nessuno mi avrebbe avuta. Sono stata di parola: mi sono presa ogni uomo che mi sia piaciuto, l’ho fatto senza chiederlo, e non me lo sono mai tenuto per più del necessario.
Adesso il mio corpo è cambiato, io l’ho cambiato. Ho posato nuda per uno scultore, una volta, e il frutto di molti anni di lavoro su me stessa adesso si trova esposto nell’atrio di non so quale museo d’arte contemporanea. Mi piace che debbano pagare, per vedermi.
Abito in un grande open space nel quartiere fieristico, dove ho tutta la luce e lo spazio che mi servono per lavorare. Il mio è un appartamento con vista omaggio sull’opulenza, ma la guardo dall'alto, con sufficienza. Vendo una tela e mi pago l’affitto per sei mesi, ma continuo a dormire su una branda.
Il negozio di Davide, invece, è ubicato in un quartiere del centro dove i palazzi hanno un’aria vetusta e gli intonaci sono scrostati dall'umidità e incrostati dagli spray di pessimi writers.
E’ strano che uno come lui, crema di una società irrancidita, abbia scelto un quartiere scalcinato come questo, per aprire il Fur Elise. Che oltrepasso, facendo finta di niente.
All’angolo scanso una cacca di cane, mi accendo una sigaretta e faccio un salto alla pizzeria da asporto ma compro solo una birra.
Sto tergiversando, non lo nego. E’ che entrare nel suo negozio per comprare un suo disco sembra quasi una scusa per abbordarlo. Non dovrei preoccuparmi, visto che è proprio così.

DAVIDE, oggi, sul significato di toccare Nia
Non riesco proprio a capire che cosa voglia da me. Forse sta solo giocando a confondermi, o forse è lei a essere confusa, anche se sembra una con le idee molto chiare.
L’ho incontrata ancora, dopo la sua pubblica protesta. Noialtri fummo di parola, e lei presenziava tra i rappresentanti degli ambientalisti. Ricordo che aveva addosso un paio di jeans sformati e una canotta scolorita color ruggine. Sotto, si intravedevano le spalline di un reggiseno nero. Un look inadeguato, data l’occasione. La sua presenza stridente catturò l’attenzione di tutti, compresa la mia. Io la trovai... sensuale. Mio malgrado.
Nella sala del consiglio, i sedili sono disposti a ferro di cavallo, in modo che tutti possano sentire quello che ha da dire la Giunta che siede al centro.
Nia arrivò in ritardo, fuori era già buio, ma le avevano lasciato un posto giusto di fronte alla mia poltrona, dalla parte opposta della sala. Non ne compresi la ragione, ma mi rivolse un cenno di saluto con la mano e abbozzò un mezzo sorriso. Pensai a un gesto di pace e ricambiai.
Tra tutti, discutemmo a lungo della faccenda del parcheggio, ma senza giungere a un accordo. Nia sembrava insofferente a tutte le nostre chiacchiere, e a un dato momento prese dalla borsa di tela un pacchetto di sigarette e lasciò la sala.
Mi rivolse uno sguardo indecifrabile, che interpretai o volli interpretare come un invito a raggiungerla, ma lasciai passare qualche istante, prima di decidermi. Ero imbarazzato, sperai che nessuno dei presenti facesse due più due.
Non sono mai stato un guerriero, ma mi sentivo in dovere con me stesso di cantargliele per come si era comportata.
Nia aveva trovato la saletta del caffè, aveva aperto la finestra e fumava nonostante il divieto, con un bicchiere di plastica in mano. M’inquietò il fatto che là dentro potesse esserci una bevanda bollente, non avevo nessuna voglia di pernottare in un reparto per grandi ustionati, ma lei sorseggiò il caffè, quindi accartocciò il bicchiere e me lo mostrò, prima di gettarlo nel cestino dei rifiuti, come a dire che non avrebbe sprecato tanta bontà per un essere insignificante come me.
“Mi dispiace per l’altro giorno” mi anticipò, e d’un tratto la voglia di attaccarla verbalmente mi passò. “Sai... non sopporto di essere toccata. Mi sento aggredita, e quando succede vado fuori di testa”.
Era successo, l’avevo toccata? Quello era stato toccare Nia? Quelle spalline nere sembravano fatte apposta per richiamare l’attenzione su quei seni piccoli e rotondi... Gliel'avrei fatta vedere io, se avessi potuto toccarla per davvero!
Perdonatemi, non è di questo che intendevo parlare.
Notai che mi stava guardando le mani, la fede che porto all’anulare della mano sinistra.
“Così, ti sei sposato, Davide. Con quella paninara della terza F?” Mi chiese. “Come si chiamava...?”
L'mmagine della paninara della terza f mi rievocò ricordi dei tempi della scuola.
Ecco dove avevo già visto Nia! Non potevo biasimarla, se mi odiava.
Mi tornò in mente tutto, compreso come ci divertissimo ad affibbiarle nomignoli e a giocarle brutti tiri. Lei non si ribellava, sembrava che non avesse mai niente da dire, forse perché non era come me, che facevo sempre il gradasso. Dio, quante gliene abbiamo combinate... a lei e a Regina.
“Sono vedovo” le risposi. “Già, tu non sai...”
Nia mi interruppe con un brusco cenno della mano e lasciò cadere il discorso, evidentemente non s’aspettava il fuori programma con cui l’avevo sorpresa e, forse, intenerita. Tirò una lunga boccata di fumo.
“Che combini?” mi chiese. “A parte prendere per il culo la cittadinanza”.
Le raccontai del negozio e che suonavo in una band, che avevo inciso dei dischi. L’ultimo sarebbe uscito di lì a poco. Le sembrò una cosa interessante, o almeno così disse, ma non mostrò entusiasmo né io la trovai convincente.
“Suonavi bene la chitarra. Poi sei sparito”.
“Ho frequentato il conservatorio, e per qualche tempo ho dato lezioni di sassofono, poi mi sono aperto un’attività. Tu suoni?”
“Dipingo”.
“Che genere fai?” m’informai. In realtà non m’intendo molto d’arte figurativa, ma mi sembrò gentile chiederglielo. Non avevo idea che fosse famosa e quotata. Lei rise, oppure ringhiò, difficile dirlo.
“Che genere...” ripeté, guardandomi con compassione. “Il mio”.
“Magari un giorno o l’altro mi fai vedere qualcosa”.
Non mi rispose niente, e durante quel lungo silenzio cercai invano di ricordarmi come si chiamasse. Infine mi arresi, e dovetti chiederglielo.
Fece un gesto vago con la mano, soffiò fumo dalle narici fuori dalla finestra e guardò giù, verso la piazza. Lei il mio nome non lo aveva dimenticato. Credo non ci si scordi facilmente di chi ti riempie lo zaino con quel che c'è nel cestino del bagno delle femmine.
“Che ti frega, Davide...” sospirò, e fece uno dei suoi mezzi sorrisi, ma più dolce, più malinconico di quelli che mi aveva rivolto finora. Mi piacque molto, quel sorriso.
“Tanto la persona che pensi di aver conosciuto non esiste più”.

NIA, oggi, sui dubbi

Cazzo, sto tremando, ma perché? Voglio dire, non è immorale fregare il marito a una donna morta!
E sì che me ne sono lavorati, di uomini con la fede al dito. Sono quelli che mi divertono di più. Con me si sentono dei veri uomini, finché non li mollo. Poi tornano dalle mogli per dimostrare a se stessi di valere ancora qualcosa e armati di una nuova consapevolezza, col gusto dolceamaro del tradimento ancora sulle labbra.
E' un dettaglio a tormentarmi: Davide porta ancora la fede al dito, e la ragione è ovvia, ama ancora quella donna che non c'è più.
Conosco gli uomini, i loro sguardi lascivi, la voglia insolente che cova dentro i calzoni.
I suoi occhi sono diversi, sono passati attraverso il dolore.
Mi chiedo se la sua sia una ferita recente, per quanto continuerà a farsi sentire come un menisco fratturato quando cambia il tempo.
Schiaccio la sigaretta sotto il piede, e immagino di spiaccicare col filtro tutti questi pensieri che mi turbano, ma ancora non mi decido.
Un brivido mi parte dalla base del collo e scende giù, fino all’osso sacro, anche se fa caldo, come se le dita gelide di un fantasma mi avessero accarezzato la schiena. Mi viene mezzo centimetro di pelle d’oca e me la faccio passare camminando su e giù fuori dal portico, al sole.
Un’auto mi fa un pelo, e lì per lì penso che qualche stronzetto voglia fregarmi la borsa. Invece sono due ragazzi che mi gridano un apprezzamento sconcio. Li contraccambio mostrandogli il medio, e se non altro adesso mi sembra di essere di nuovo decisa. Però mi accendo un’altra sigaretta.

DAVIDE, oggi, sulle parole di Nia
Solo pochi giorni dopo, la scorsi al un tavolino del bar dove prendo il caffè quando sono di leva in comune. Quello delle macchinette lo lascio a chi timbra il cartellino, ma fa talmente schifo che non so se il mio si possa dire un bel gesto.
Nia aveva un paio di occhiali da sole sul naso, non riuscivo a capire da che parte stesse guardando e se mi avesse visto. Nell’incertezza, andai a salutarla. Cercai di convincermi che lo stavo facendo per educazione, ma l’avevo pensata molto più del necessario e mi faceva piacere vederla.
“Ti offro un caffè” disse. Provai a rifiutare perché ero già in ritardo, ma a lei non importava dei miei impegni. Mi indicò una poltroncina allo stesso modo in cui avrebbe ordinato a un cane di mettersi a cuccia. Scodinzolando, feci a modo suo.
“Solo un attimo” avvertii. “Ho un appuntamento...”
Nia m'interruppe sfiorandosi le labbra con l’indice. Dovevo starmene a cuccia e pure zitto. Quello che mi disse mi fece sorridere e mi imbarazzò, ma lei riuscì a rimanere seria, visto che non stava scherzando.
“Odio essere disturbata mentre faccio qualcosa che mi piace... Ti sto guardando, lasciami fare”.
Non trovai parole per ribattere, e lasciai che mi scrutasse da dietro gli occhiali. Mi sentivo come un’aragosta nell’acquario di un ristorante, consapevole che la cliente stesse scegliendo proprio me. Per mangiarmi.
“Voglio comprare almeno un tuo disco” annunciò infine, e finalmente tornai a respirare.
Non me l’aspettavo. Sul momento mi fece piacere, ma mi resi conto di temerne il giudizio.
“Ti piace il jazz?” provai a chiederle.
“Lo detesto” mi stroncò. Volli pensare che non intendesse mortificarmi, che quella fosse la pura e semplice verità.
“Il metal” aggiunse, “mi è più affine, sa essere duro quando serve. Il jazz mi sembra solo un esercizio di stile, raffinato e poco sincero. Non mi emoziona”.
“Allora” domandai, inghiottendo il rospo e cercando di mostrarmi disinvolto, “che te ne fai di un disco di jazz, se tanto non ti piace il genere? Se sei curiosa, posso prestarti qualcosa senza bisogno che butti dei soldi”.
“Se mi andasse” mi fece notare con uno dei suoi mezzi sorrisi sprezzanti, perché mi fosse chiaro, al di là di ogni dubbio, che la sua condizione economica e il suo orgoglio non erano più quelli che ricordavo, “ti farei un'offerta che non potresti rifiutare e comprerei il tuo negozio con te dentro, solo per il gusto di sbatterti fuori”.
Infine rispose alla mia domanda con un'ambiguità agghiacciante: “Il fatto è che voglio possedere qualcosa di tuo e sapere chi sei, prima di perdere l'anima per te”.
Una cosa soltanto mi parve chiara: come un cane abbandonato alla solitudine e alla fame, Nia aveva fiutato la ragazzina impacciata che avevo conosciuto. Si era lasciata accarezzare, poi l'aveva divorata in un solo boccone.
Quanto a me, sarò il suo prossimo pasto.

NIA, oggi, da Davide

Cazzo, sto fumando come una turca, non posso star qui dietro l’angolo a farmi venire un tumore! Ma che cosa mi prende, perché esito? Getto via l’ennesima sigaretta ancora a metà.
Senti come mi batte il cuore... Mi chiedo quali siano i miei sentimenti per Davide, in fondo potrei aver fatto male i miei conti. Che sia il caso di mollare tutto?
Sembra gentile.
Sono confusa.
In fondo alla strada, il rosone rotondo di una chiesa sembra un immenso occhio spalancato e attonito. Mi fissa, mi giudica... O si domanda che cosa stia aspettando.
Vado, e questa volta non esito davanti alla vetrina, spingo la porta, entro.
C’è gente, e c’è anche lui, in piedi dietro il banco. Sta accordando una chitarra o un basso, non sono capace di distinguerli se non conto le corde.
Spalanca gli occhi quando mi vede. Sorride e non riesco a capire se sia un sorriso di circostanza o se gli faccia piacere vedermi.
“Ciao, cara” mi saluta. Cara. Cara si dice a qualcuno cui sei legato, no? Oppure, se vuoi fargli credere che ti stia a cuore. E’ una parola abusata, non vorrei dar troppo peso alla cosa.
“Sono di fretta” dico.
Davide Fiume. Lo guardo adesso, nel suo ambiente, e non è male. Mi accorgo che ha degli occhi molto chiari e trovo che quel colore freddo strida in contrasto con l’espressione mite del suo viso.
Tira fuori una scatolina piatta dal cassetto sotto il registratore di cassa, sopra c’è l’etichetta della Siae e un’altra col prezzo. Pago quel che devo, senza dargli il tempo di scontarmi un euro.
“Hai una penna?” gli chiedo, e lui mi guarda un po’ come guarderebbe un’aliena, o un’alienata, ma il mio gioco lo intriga, lo so. Mi porge una Bic con l’inchiostro verde, credevo non le facessero nemmeno più, le Bic verdi. Una volta erano le mie preferite, e non può essere un caso, se lui ne ha una. Insomma, mi porge questa cazzo di Bic, e lo fa tenendola per il cappuccio e in modo che le nostre dita non si sfiorino mentre la prendo. Molto bravo, vedo che impari in fretta, l’ultima cosa che vuoi è che faccia una scenata in casa tua,.
Scrivo il mio indirizzo sul retro di un biglietto da visita del Fur Elise, e lo giro in modo che possa leggerlo, poi lo piego a metà e me lo infilo nella borsa insieme al cd.
“Ti aspetto alle nove” gli dico.
Mi guarda stranito, ma non li devo spiegare niente.
Gli uomini restano un grande mistero anche per una come me, che li conosce bene. Passano la vita a caccia di sesso, ma quando glielo sbatti in faccia se la fanno sotto. Li spaventa non essere padroni delle situazioni.
Anch’io comincio ad avere paura, temo che il timone mi sfugga di mano e che la mia nave spaziale precipiti insieme a tutto il suo equipaggio di certezze.


DAVIDE, oggi, da capo
Insomma, è andata via.
Il tizio che è venuto a cambiare le corde del basso suona in un gruppo che fa rock demenziale. Più che suonare, gli suonati sono loro.
E’ uno con la battuta sempre pronta, e anche se boccheggia guardando Nia che attraversa la strada, la festosa battuta a tema musicale è calzante: “Lucida il sax, che stasera si tromba!”
Ammetto che è buona, ma mi infastidisce lo stesso. Non mi va che questo coglione le manchi di rispetto con le sue fantasie. Faccio uno sforzo per ricordarmi che è il mio migliore cliente e gli addebito dieci euro più di quelli che merito.
Non vedo l‘ora di andare a casa, devo farmi la doccia, radermi. Questa sera ho il primo appuntamento con una donna da quando mia moglie mi ha lasciato, e qualunque cosa significhi, qualsiasi cosa mi aspetti, ci tengo a essere presentabile.

NIA, oggi, aspettando Davide
La città sonnecchia, è una vecchia signora davanti alla televisione.
La sera ha inghiottito i colori del pomeriggio, la frescura si è disciolta sull’asfalto rovente. Si accendono corsie di luci arancioni lungo la tangenziale, qualche auto abborda una puttana sulla circonvallazione.
Spalanco tutte le finestre, le tende si gonfiano, esco sul terrazzo e aspetto. Ogni volta che un’auto sosta sotto casa, il mio cuore si ferma con lei, per un attimo.
Immagino la sua macchina di grossa cilindrata, che sarà nera, o grigio argento. Forse un fuoristrada giapponese, di quelli che in città non servono a niente.
Invece arriva col furgone del negozio. Sembra un po’ smarrito, ha un mazzo di fiori in mano, si guarda intorno cercando la targhetta con il numero civico giusto, poi sparisce sotto il portico e lo immagino mentre scorre i nomi sui campanelli.
Siamo alla resa dei conti. Per la prima volta da quando sono Nia, ho paura di me stessa e di quello che sta per succedere.

DAVIDE, oggi, da Nia
La porta scorrevole si apre sul sobbalzo dell’ascensore e sul mio, quando la scorgo.
Nia è sulla soglia e non mi dice una parola. Come sono a tiro mi mette le braccia al collo, sento il suo seno sfregarmi sul petto sotto il top ridottissimo. Tutto il suo corpo preme contro il mio. Per me è una cosa nuova, improvvisa, non so che cosa devo fare.
“Ti voglio” mi sospira sulle labbra, e non mi sembra vero che dica proprio a me.
Desidero leccare le ferite che percepisco nel suo cuore, così simili alle mie. Desidero lei.
Così lascio cadere i fiori e la trascino dentro casa, mentre continua a baciarmi e a sussurrare che vuole fare l’amore. Mi sbottona la camicia, e quando le sue mani mi accarezzano il petto sento un brivido scuotermi da capo a piedi.
Mi chiedo che cosa provi, toccandomi, e perché lo stia facendo.
Non mi conosce affatto, le sue mani mi esplorano, sento in sottofondo la mia musica, e ancora la sua lingua sulla pelle, il suo ginocchio tra le mie gambe, e sono così eccitato che mi sembra di scoppiare.
Rotoliamo sul letto sfatto, tutt'intorno solo tele e barattoli di colore in un freddo disordine.
Nia tende la mano, prendo fiato mentre cambia il cd. Ne mette uno dei suoi, e la batteria mi esplode nelle orecchie. Il riff della chitarra elettrica è magnifico, struggente, dolce e violento. Come lei, che aumenta il ritmo, mi slaccia i pantaloni, si cala i calzoncini lungo le cosce e mi guida verso la sua intimità.
E’ allora che mi irrigidisco, ovunque tranne dove vorrei. La sua aggressività mi inibisce. La desidero, ma ho bisogno di più tempo, ho bisogno almeno di rallentare.
“Aspetta...” balbetto, mentre l’allontano da me. “Dammi un po’ di tregua, io... forse non sono ancora pronto...”
Mi riferisco al mio passato, naturalmente, alla donna che ho amato al punto da non averla mai, e che forse mi sta condannando per questo tradimento. Ma Nia guarda il mio sesso molliccio con occhio critico e sulle lue labbra si allarga un ghigno cattivo.
“Lo vedo, che non sei pronto. Peccato, non avrai un’altra occasione”.
Se intende dire che le ho solo fatto perdere del tempo, non posso darle torto, dopo una performance così deludente. Però, cazzo, non sono mica una macchina! Sospiro, umiliato, e mentre comincio a tirarmi su i calzoni, Nia infila un braccio sotto il cuscino.
“Credi che lei fosse pronta?” Mi fa, e ha una pistola in mano, così piccola che quasi le scompare nel pugno. Immagino che la capacità che un’arma da fuoco ha di uccidere non si misuri dalle sue dimensioni, così mi paralizzo dove sono e come sono, e i calzoni mi scivolano giù lungo i fianchi.
Ragazzi, non mi sono mai sentito così ridicolo e spaventato in tutta la mia vita!
Il mio pisello si è nascosto chissà dove, beato lui, ma non è niente in confronto alla confusione che ho dentro. Non capisco che cosa stia succedendo, né che cos’abbia acceso quel bagliore di lucida e folle determinazione negli occhi di Nia.
Non faccio in tempo a chiederle niente. Come suo solito, mi anticipa.
Tenendomi sotto tiro, indica una tela celata da un drappo di stoffa bianca e la scopre.
Mi cedono le ginocchia e scivolo verso il basso, comincio a piangere.
“Se quella sera tu ci fossi stato, se le avessi dato una possibilità, lei non sarebbe morta così!”
Sì, conosco la storia e conosco la ragazza che annega. Nia l’ha ritratta ragazzina, ha dipinto il viso che ricorda, ma lo stesso il suo corpo nudo precipita in un abisso d’acque torbide, trascinata verso il fondo dal tormento che le ho sempre letto negli occhi. Quella disperazione che non ho mai compreso fino in fondo, non avendo avuto accesso alla parte del suo cuore ch’era stata così profondamente ferita da dover essere custodita nel silenzio.
Così annego anch’io, guardando Regina dipinta che continua a morire. La pittura ne perpetua l'agonia e racconta del bisogno ossessivo di Nia di non dimenticarla.
Non riesco a essere arrabbiato con lei, perché all'improvviso comprendo le sue ragioni.
Se quella notte, la notte in cui Regina morì, non mi fossi addormentato, se avessi vegliato su di lei trattenendola ancora tra le mie braccia, lei non se ne sarebbe andata.
“E’ colpa mia” ammetto, e anche se il suono che viene dalla mia gola arsa non è che un mugolio rauco, Nia capisce benissimo. Non mi costa molto, confessare la mia colpa. Nonostante tutti abbiano cercato di convincermi del contrario, mi sono sempre sentito responsabile.
“Quella sera” mi ringhia Nia, “la stuprarono a turno, i tuoi amici. Lo sapevi, questo?!”
Ci resto di sasso. Ma di che cosa sta parlando, adesso? Di che parla, questa pazza? Ho ammesso la mia colpa, adesso che bisogno c’è di star qui a sibilarmi cose che non riesco a seguire. Cazzo, che cosa sta dicendo?!
“Non capisco” mormoro, “il referto autoptico non faceva riferimento a nessuna violenza, e io... non l’ho mai toccata. Mai”.
Adesso è lei che mi guarda stranita. Abbassa la pistola, e adesso non è che un’appendice inerte che ciondola in fondo alla sua mano.
“Referto autoptico...?” ripete. “Ma di che parli? Hai capito o no, quello che ti ho...”
...detto.
La voce le muore in gola, i suoi occhi scuri si dilatano. Finora abbiamo parlato di due cose diverse, e Nia se n'è resa conto per prima.
“Davide” mi fa, accennando al quadro, e da come lo dice, da come si muove, capisco che la sua sicurezza sta crollando. “Chi era, per te, questa donna?”
Le rispondo come se fosse ovvio, come se fosse tenuta a saperlo. Maledizione, se non lo sa, perché diavolo mi ha tenuto sotto tiro fino adesso?
“Regina era mia moglie”.
DAVIDE, ieri, con Regina

“Perché non vuoi parlarmene?” Le domandai, guardandola rivestirsi. Nemmeno quella volta ero riuscito a spingermi oltre ai baci. Come le avevo slacciato il reggiseno, mi era sfuggita ancora.
“Ci sono cose che non riesco a dire a nessuno, nemmeno a te”.
“Perché non provi a fidarti? Lo sai, che ti amo”.
“So che adesso mi ami. Ma tu vuoi sapere tutto, e non è mai bene sapere tutto della persona che si ama”.
“Andiamo... conosco il tuo segreto, cosa credi?” Glielo avevo detto scherzando. Scherzando, sì, e senza immaginarmi le conseguenze. Come potevo? “Tu sei un angelo. Ho sposato un angelo: si dice che gli angeli non abbiano sesso, forse è per questo non puoi fare l’amore con me”.
“No” mi aveva risposto. “Un angelo è puro. Tu non puoi neanche immaginare quanto sia sporca”.
Non diedi peso a quelle parole. D’altronde lei non era una persona comune, non mi aspettavo facesse discorsi da persona comune. C’erano cose che non capivo, che nessuno capiva, di lei, e il mistero che l’avvolgeva la rendeva ancor più desiderabile ai miei occhi.
Era la nostra prima notte di nozze, e restammo a lungo abbracciati. Ma ero stanco, la cerimonia e la festa avevano dato fondo alle poche riserve di energia rimaste dopo i preparativi per il nostro matrimonio. Mi addormentai confidando che il tempo avrebbe aggiustato tutto, che prima o poi mia moglie mi sarebbe appartenuta anima e corpo. Non c'era fretta, avevamo tutta la vita.
Ma la mattina dopo, quando mi svegliai, Regina non era accanto a me, e non sarebbe più tornata, se non per poco tempo nelle pagine della cronaca locale e, per sempre, nei miei incubi carichi di rimorsi.

NIA, oggi, sulla chiarezza

Vuoto il sacco.
E' chiaro che volevo ucciderlo, qualche spiegazione gliela devo, a questo punto.
Perché lui e non i bastardi che violentarono Regina? Perché loro non posso averli, non posso mica andare in giro come una pazza a sterminare tutti i miei ex compagni di classe! Ma lui sì, lui potevo averlo e ce l’ho a tiro.
Leggendo i giornali s’imparano molte cose sui politici, per esempio che a scuola avevano quasi sempre dei brutti voti e una condotta riprovevole. Lui non fa eccezione, si è dato alla politica, è diventato un personaggio pubblico e mi è bastato seguire la cronaca locale per ritrovarne le tracce, anche se nessuna pista mi aveva ricondotta alla sua vita privata.
Perché non aveva mai voluto notare Regina, lei che aveva raggiunto il luogo del martirio sperando in un suo sguardo, che gli si era sacrificata, immolata sull’altare dell’indifferenza? Alla fine ne era morta.
Per questo. Solo per questo ho scelto lui.
Volevo radere al suolo il tempio del dio che aveva preteso un sacrificio di sangue.
E mentre aspettavo, mentre il tempo passava, il gelo apriva squarci sanguinanti nel mio cuore, il cervello mi si incancreniva. No, non si rimarginano mai, certe ferite. Possono solo andare in suppurazione e ucciderti dentro.
Io volevo ammazzarlo come un cane, Davide, e vaffanculo le conseguenze. Non m’importava di finire in prigione, non m’interessava affatto se la sua famiglia avrebbe assoldato un maledetto sicario per terminarmi. Volevo giustizia, poco m'importava riconoscervi la faccia della vendetta, e per fortuna ci sono arrivata a un soffio, dove mi aspettava il colpo di scena.
Insomma, Davide aveva rivisto Regina al conservatorio, e tra i due, stranamente, era nato qualcosa. Ma non avevano mai fatto l’amore, nemmeno una volta. Dapprima Regina aveva mentito dicendo di essere cattolica e di voler aspettare fin dopo le nozze. Lui aveva atteso, paziente e docile, fino alla luna di miele, quando lei aveva capito di non potergli offrire più di quel che gli aveva già dato. La sua paura d’essere toccata, la sua incapacità di accettare d’esser degna d’amore l’hanno uccisa.
Lo guardo, quest’uomo capace di tanta pazienza. Se ne sta composto, seduto sul mio letto disfatto, e senza guardarmi singhiozza come un bambino, tendendomi le braccia. A me, che fino a un attimo fa gli ho puntato addosso una pistola. Dovrebbe essere incazzato, dovrebbe odiarmi per questo, ma adesso lo sa come lo so io, che l’abbiamo amata entrambi. E lei, da dov’è, deve averci guidati perché potessimo prenderci cura l’una dell’altro.
Non so che cosa fare, tanto per cominciare è meglio che tolga il caricatore da quest’affare, direi che per questa vita non abbiamo proprio bisogno di farci ancora del male. Poi lascio che le sue braccia
mi stringano forte, fortissimo. Condivido la sua disperazione e il sollievo che prova: sono anche i miei.
“Mi dispiace” piango sulla sua spalla, io che non ricordo di aver mai versato una lacrima, da quando sono Nia.
Sento le sue dita intrecciarsi ai miei capelli, le sue labbra mi cercano e mi trovano, mi consolano, mi amano.
“Dimentichiamo tutto” mi sussurra. “Ricominciamo da capo”.

DAVIDE, oggi, sul domani
Da troppo tempo nessuno mi stringe, ne ho bisogno, non mi vergogno ad ammetterlo.
Piango, era ora. Le lacrime sciacquano il mio cuore, il dolore si allenta in una sensazione di calore quando tendo le braccia e Nia cerca rifugio in me. E io in lei.
Anche se la sua pelle brucia, ha le mani fredde e sembra così minuta, adesso che si è messa a nudo. Non avevo capito quanto fosse fragile. A costo di spezzarla, la stringo fortissimo.
Adesso che non ho più paura di toccarla, voglio che sappia che non le serbo rancore. Se è arrivata a tanto, è solo perché ha amato Regina quanto me, ma adesso lei non c’è più. Ma c’è Nia... e ci sono io.
Forse, mi dico, le persone che amiamo sanno che ci sentiamo soli, quando se ne vanno. Ma non è quello che vogliono, ed è per questo che il tempo lenisce il dolore, che quando una porta si chiude se ne spalanca un’altra.
“Dimentichiamo tutto” dico a Nia, stringendola più forte. “Ricominciamo da capo”.

ANCORA NIA, oggi, sul domani
Un dado. Sì, c’è un dado che pende dal laccio di cuoio attorno al mio collo. Adesso anche Davide ne ha uno, gliel’ho regalato io. L’ho comprato in quel negozio... ve lo ricordate, ve l’ho detto all’inizio.
Un dado... la metafora della vita.
Sì, insomma, mettiamo che un giocatore punti tutto su un numero, il suo numero portafortuna. Smette di pensare a qualsiasi cosa, figurandosi nella mente la faccia del dado col numero che lo farà ricco. Dimentica di aver mai avuto un dio e implora e prega il dado di esaudirlo, calcola le probabilità e cerca di influenzarlo mentre rotola sul tappeto da gioco, convinto che quel numero uscirà e che farà la sua fortuna. Ma il dado non ha sempre voglia di ascoltare, e come un idolo dispettoso può decidere di scontentare il suo adepto.
Allo stesso modo, qualsiasi cosa si tenti per mandare la vita in una certa direzione, non la si può manipolare. Dietro l’angolo può esserci l’imprevisto in agguato.
Diciamo, quindi, che ho puntato sul numero sbagliato, e che la mia vita ha preso una piega del tutto inaspettata.
Tuttavia, al contrario di quel che verrebbe naturale pensare, ho vinto lo stesso.

mercoledì 18 novembre 2009

Natale si avvicina...

...volete dare un'occhiata ai miei presepi? Li trovate su www.arredipinti.blogspot.com, insieme ad alcune delle mie tele e a una bella carrellata di... draghi!

ERODE IN TOUR - MARCHE

Su www.romanoeditore.it, le date del prossimo tour nelle Marche di Erode e la psicopatia dell'allenamento.
Ricordo che ordinando il volume nella sezione shop del sito di Romano Editore è possibile precisare "pro Croce Verde". In questo modo contribuirete ad aiutare la Croce Verde di Viareggio, che ha perso quasi tutti i suoi mezzi di soccorso a causa della tragedia ferroviaria.
Grazie a chi vorrà darci una mano sostenendoci in questa raccolta di fondi, magari acquistando Erode per regalarlo a Natale. Lo so, lo so, non è proprio un libro di filastrocche natalizie... ^_°

giovedì 25 giugno 2009

UN CONCORSO LETTERARIO ABBINATO AL SEGUITO DI ERODE!

Ebbene sì, Erode e la psicopatia dell'allenamento avrà un seguito! E nel libro, previsto in uscita per il prossimo anno, è abbinato un concorso letterario con in palio la pubblicazione e la spartizione dei diritti d'autore. Il bando e tutti i dettagli su www.romanoeditore.it

Condizione necessaria per partecipare ed eventualmente essere selezionati è conoscere il mondo di Erode, entrare nella psicologia dei suoi personaggi e scrivere un racconto che rientri nell'universo noir del commissario Biagini, del maresciallo Puccinelli e dell'appuntato Cortese.
Spazio quindi alla vostra creatività!